Ad Amsterdam c’ero già stata, anche se solo per una toccata e fuga di un paio di giorni. Ma c’è una cosa strana, a tornare in qualsiasi città; basta un itinerario diverso, punti di vista leggermente spostati e la cartolina mentale che avevi del posto in questione ti si frantuma in mille pezzi.
Del rischiare la vita passeggiando sulle piste ciclabili me lo ricordavo - però quando inforchi la bici anche tu, provi un sottile piacere nello scampanellare al turista col naso per aria ☺ -.
Del museo Van Gogh, come dimenticarsi (e qui lancio una personale obiezione al Ministero della Cultura olandese: nessuna riduzione per studenti né gruppi? mah). Per poi scoprire che tutte le tele sono state vetrate… con conseguenti acrobazie/borbottii di disappunto per godere della visuale antiriflesso giusta. Ri-mah.
Mi ero invece persa l’alta percentuale di popolazione felina: non c’è finestra, hall di albergo, ristorante in cui non si affacci mollemente il gatto di casa, grigio o rosso. In alcune zone spuntano malinconiche sentinelle ad ogni finestra, che un vero fotografo ci avrebbe già inventato un calendario a tema (probabilmente esiste). E poi la luce tagliente, marziana, di questo periodo dell’anno: ci si gode il tramonto delle 22.30, ed anche col cielo velato gli occhi reclamano un occhialetto protettivo. Nei panni del vero fotografo di prima, azzardo che questo tipo di luce potrebbe essere perfetto per scattare, specialmente nel tardo pomeriggio.
Ultima chicca, almeno per me, è stata la riconciliazione con le frietjes, le patatine fritte. In effetti cosa potevo aspettarmi da una cucina in cui i tuberi sono componenti essenziali (vedi anche alla voce stamppot)?
Forse perché le associo al fast food, o al luna park con l’odore misto di frittelle e zucchero filato, o perché certi tormentoni d’infanzia crescendo non sembrano più così speciali, fatto sta che mi sono gustata dopo anni di felice astinenza delle patatine fritte con tutti i crismi; ben cotte anche dentro, croccanti, evidentemente non provenienti da bustone surgelate.
Questo ed altri miracoli nelle note mangerecce sparse di seguito:
Affamati dopo le visite ai vicini musei (Van Gogh, Rijksmuseum, Stedelijk) ma dubbiosi rispetto ai baracchini di hot dog della zona? Questa enoteca-gastronomia ha ristorato i nostri stomacini mediterranei, indeboliti da due giorni di panini, salse e strane mescolanze oriental-olandesi con una scelta di insalate e taboulé da asporto, salumi e formaggi anche stranieri, pani con ogni sorta di farina e semino, macedonia (il grassetto ci sta tutto). Se poi è bel tempo ci si può svaccare sul prato del Museumplein e far finta di prendere il sole. Detto tra noi, meglio non sottovalutate il sole del nord, qualcuno è riuscito ad ustionarsi il viso nel corso di mezza giornata in bici.
Se si supera lo scoglio del nome impronunciabile, questo localino è davvero grazioso. Atmosfera vagamente parigina, cucina in parte a vista, piatti prevalentemente di carne con qualche guizzo creativo: la mia porzione faraonica di antipasto (una simil-tarte tatin di spinaci e chèvre al miele e mandorle) mi ha lasciato spazio solo per una fetta di torta di mele con gelato alla vaniglia, altrettanto faraonica nella quantità. Ecco, questa è un’altra cosa che non ricordavo di Amsterdam: dai pancakes agli spare ribs alle patatine fino ai dessert, le porzioni sono gigantesche. Sempre.
Forse uno dei più recensiti sulle guide della città, visto l’affollamento di locals e turisti. Non del tutto a torto: le foto delle mamme che danno il nome al locale tappezzano le pareti in mille cornicette portate dai clienti, ed anche nella mise en place regna l’anarchia: all’inaugurazione ogni avventore portò il proprio piatto e bicchiere, da allora in possesso del locale. Risultato, un meraviglioso pout-porri di stoviglie. Per quanto riguarda il cibo, meglio buttarsi sul misto tipico (acc non ricordo il nome) comprendente stufato, stampoot e verdure e lasciar stare i piatti creativi.
Dolci pollice verso: il nostro “crumble” era una sorta di zuppetta di crema dove navigavano sparute briciole inzuppate e pezzetti di frutta.
Consigliata la prenotazione.
4-Noordermarkt_nell’omonima piazza antistante la Noorderkerk, ogni domenica h 9-15
Senza saperlo, siamo capitati in zona proprio durante l’apertura del mercato. Ho ragionato sulla resistenza che poteva avere una cassa di splendido rabarbaro nel mio bagaglio a mano, e piangendo ho desistito ☺ Oltre agli ortaggi e frutta, in questo farmer’s market si vendono pani di ogni ordine e tipo, formaggi tipici, funghi (stesso discorso del rabarbaro con gli shiitake freschi), salumi.
Forse quello che ho preferito tra tutti, anche per il motivo delle frietjes prima citate. Atmosfera fresca e luminosa, pareti chiare e l’immancabile gatto. Cucina olandese non troppo carica né affogata di salse, un menù giornaliero esposto in lavagna più le basi fisse. E’ anche sala da the.
Nota a margine: forse per la grande apertura e curiosità riguardo alla cucina estera, quasi ogni locale seppur tipico (compreso questo) propone qualcosa di speziato e vagamente orientaleggiante, o ancora spopola la “pesto sauce”. Ho preferito astenermi.
Il caffè che vorrei avere sotto casa per leggere o studiare, per l’atmosfera vintage e rilassata. A metà pomeriggio, una tazza di the e torta di mele sui tavoli azzurrini di fòrmica ci stanno a meraviglia, anche perché la temperatura tendeva ancora al freschino, e magari ci scappa pure un giretto nel vicino negozio di abbigliamento e oggetti d’epoca (ammetto, sono malata).
Proseguendo ancora per la bella Zeedijk, lo spirito da gastrofanatici non resisterà ad una visita da Dun Yong – strepitosa dritta da Comida- per ogni accessorio da cucina e materia prima per la cucina orientale. Avrei rapinato il settore delle ceramiche giapponesi da tavola.
Sulla via si incontra anche un tempio buddista e numerosi ristoranti cinesi, indonesiani e vietnamiti (questi, sì, gestiti da orientali!)
Ultimo consiglio: anche se non pedalate da dieci anni, forzatevi ad affittare la bicicletta -coi freni normali magari-per almeno una giornata. La prospettiva della città si sposta anche così.