mercoledì 25 novembre 2009

Dolcemente complicato_ IL tiramisù


Con tutto il tourbillon degli ultimi concorsi (marmellate per Martina e prodotti DOP per Genny) mi stavo perdendo per strada una ricetta preparata ormai due settimane fa. E che ricetta! Da quando il libro di L. Montersino ("Tiramisù e chantilly") staziona sul mio scaffale, mi perdo a fantasticare su variazioni di tiramisù al Barolo, al tè, al torrone friggendo d'impazienza per la voglia di sperimentare. Poi freno un attimo, torno alle prime pagine e mi fermo sulla ricetta base: tiramisù classico. 

Forse l'avrei saltata a piè pari se non avessi letto le note introduttive del libro (sacrosante): quasi sempre le ricette casalinghe di tiramisù prevedono l'uso di tuorli crudi lavorati con il mascarpone ed alleggeriti dagli albumi. In molti casi il procedimento è identico anche in locali pubblici, quelli dove magari passiamo la pausa pranzo, o nella pizzeria sotto casa. Se le uova utilizzate hanno meno di due giorni (cosa alquanto improbabile in città) ci sono pochi pericoli. Altrimenti il discorso cambia. Per non parlare della conservazione di questi tiramisù: dopo solo uno-due giorni la crema si fa meno spumosa, più tendente al giallo, e le ovette crude si fanno sempre più possibile ricettacolo di batteri (se già non ne avevano in partenza, vedi salmonella). E quindi, come rendere sicuro (e veramente godurioso) questo cardine della cucina "di casa"? Semplicemente con la pastorizzazione dei tuorli, procedendo con quella che i francesi chiamano pâte à bombe (e che tante volte ricorre nelle mousse e semifreddi). Mi sono talmente incuriosita che ho voluto provare... in fondo la serata prevedeva chiacchere e pizza! Classico per classico, vada per il tiramisù. Questa base pastorizzata per la crema, oltre ad essere perfettamente sicura, ha donato una leggerezza e spumosità uniche al dolce finito. Queste caratteristiche si sono mantenute inalterate anche a distanza di due giorni (testimone io che mi sono pappata gli avanzi). In mancanza di tempo ho dovuto comprare i savoiardi pronti MA sempre controllando la lista ingredienti: i miei erano sardi, molto simili a questi di Pinella. Consiglio agli scettici, gli integralisti del "tiramisù de mammà": provate!


Tiramisù

per la base pastorizzata alla vaniglia (pâte à bombe)
tuorli 88g
zucchero 170g
acqua 50g
vaniglia mezza bacca

mascarpone 250g
panna fresca 250g

per la bagna al caffè
caffè espresso 490g
sciroppo 210g (ottenuto bollendo 3 minuti 160g di zucchero con 80g d'acqua)

savoiardi grandi di buona qualità 12-15
cacao amaro


Preparare la base pastorizzata: portare a 121° acqua e zucchero, versarli a filo sui tuorli assieme ai semini di vaniglia, montando con le fruste. Continuare a montare fino a raffreddamento, ottenendo una massa chiara e spumosa.
Per ottenere la crema tiramisù, pesare 220g di base pastorizzata, unirla al mascarpone (precedentemente lavorato con le fruste per renderlo morbido) ed infine alla panna montata non troppo fermamente.
Bagna al caffè: mescolare il caffè espresso allo sciroppo.
Composizione del tiramisù: c'è bisogno che ve la dica? No vabbè dai, scherzo: imbibire i savoiardi nella bagna al caffè, disporli in uno strato uniforme sul fondo di coppe monoporzione. Versarvi sopra uno strato di crema, poi ancora qualche pezzetto di savoiardo imbevuto, finire con la crema (battendo leggermente le coppe sul tavolo per non far restare vuoti). Lisciare la superficie con una spatola e servire con una bella spolverata di cacao.

giovedì 19 novembre 2009

DOPiamoci_Pancakes di castagne con stracchino e pesto


Un po' sul filo del rasoio pubblico la mia partecipazione al contest di Genny sui prodotti italiani DOP, in collaborazione con la Compagnia del Cavatappi. Ahahah, non ci crederete ma in questo preciso momento in cui mi appresto a sproloquiare sul più noto condimento genovese, sotto le mie finestre si sta svolgendo un dialogo a voce alta tra due (presumo) anziani del tipo: "Mia belin, ma te lu diggu mi..." con la tipica intonazione cantilenante (che abbiamo tutti senza rendercene conto, pur non parlando dialetto stretto). Coincidenze. Comunque dicevo, in merito ai DOP liguri ho scoperto che, ad oggi, si fregiano di questa denominazione solo il basilico di Prà e gli oli (delle due riviere, ponente e levante). Ed io che pensavo anche ai formaggi-latticini, come la prescinseua, il san Stè... mah. Magari col tempo qualcuno ci penserà (spero).


Discutevo qualche settimana fa con un'amica che studia da tecnico della ristorazione (con attenzione ai prodotti tipici) sulla proposta di assegnare la DOP anche al pesto, considerato come prodotto finito. Se da un lato è sacrosanto tutelare la ricetta ufficiale, dall'altro non è così certo che sia proprio quella, l'ufficiale: da un lato all'altro della Liguria, ma anche da una famiglia all'altra, ci sono sempre piccole differenze sulla preparazione. Io resto comunque convinta che sia meglio una piccola "omologazione" interna piuttosto che l'invasione di pesti stile alien (come quelli marroni-verde marcio che vedo sugli scaffali al supermercato, chissà chi li compra brrr).
Anni fa, in trasferta a Torino ed in astinenza da pesto, la madre del moroso piemontese del momento mi regalò un vasetto-alien... credo che la mia faccia di bronzo nel ringraziare abbia raggiunto l'apice quel giorno :)
Comunque, DOP o non DOP, per me il pesto è: basilico di Prà, aglio, pinoli, grana e pecorino, sale, olio. E BASTA!! Fiocchi di patate, noci, panna, prezzemolo per favore nuuuu....
La particolare esposizione al sole della località di Prà e la vicinanza al mare rendono unico il basilico lì coltivato, raccolto quando la piantina presenta foglie ancora piccole e profumatissime, senza il sentore un po' mentolato che hanno le foglie nelle altre regioni italiane. Esiste anche un parco che raccoglie le aziende agricole presenti sui terrazzamenti di Prà, ricavati ai fianchi delle colline che chiudono la costa. Gran parte del basilico che si trova al mercato, almeno in Liguria, proviene anche da Albenga ed è comunque buono.
Anche sull'aglio ci sarebbe da disquisire: l'ufficiale sarebbe quello di Vessalico, particolarmente digeribile a dispetto del sapore forte (ma piuttosto raro da trovare). 
Ricordo-flash: quando da piccina volevo aiutare la mamma a cucinare lei mi piazzava sul lavandino della cucina con la ciotolona dell'acqua ed i mazzetti di basilico da pulire (lavoro lungo e noioso che mi teneva buona per un po'). A ben pensarci forse assieme alla cotoletta impanata, la pasta frolla e la pastasciutta il pesto è stato una delle prime cose che ho imparato a cucinare, beh tentato di imparare. 
E quindi, dopo tutta 'sta sbrodolata, ho pure pensato a come potevo usare il pesto in versioni leggermente "new" ma che non si discostassero troppo dai tradizionali abbinamenti. Uno dei miei preferiti è quello con gli gnocchi di castagne, leggermente dolci in contrasto con la forza del pesto. Oppure anche a gocce sulle bruschette, con un velo di ricotta o stracchino sotto ed (in estate) zucchine crude tagliate a velo. E why not... pancakes? In fondo i sapori sono sempre quelli, solo in forma diversa. Ho usato una vecchia ricetta di Sigrid per la pastella dei pancakes, sostituendo una parte di farina con farina di castagne (quella della Garfagnana).

Pancakes di castagne con stracchino e pesto

per i pancakes di castagne:
uova 1
latte 200g
farina 00 90g
farina di castagne 30g
burro 30g
sale
lievito istantaneo 1 cucchiaino
bicarbonato una punta di cucchiaino

per il pesto:
basilico di Prà DOP un mazzetto grande (il netto delle foglie pesate è circa 50g)
aglio 1 spicchio
grana padano DOP 60g 
pecorino sardo/romano 20g 
pinoli (per esempio di Pisa, ma comunque italiani) 40g
olio extravergine mezzo bicchiere
sale

stracchino


Iniziare preparando il pesto: ovviamente i puristi rifuggirebbero come la peste l'uso del mixer da cucina, però trovatemi qualcuno in tutta Genova che lo faccia ancora col mortaio e pestello (se non al campionato mondiale). Mai dire mai, magari un giorno proverò... Per prima cosa le foglioline di basilico vanno staccate con delicatezza dal mazzo, premedole tra l'unghia ed il polpastrello per tagliare il gambo appena sotto la foglia. Gettate in una ciotola d'acqua fredda per togliere i residui di terra, si scolano e si lasciano asciugare molto bene (a rischio di far marcire il pesto se sono ancora bagnate). Io gli do un giro veloce nella ciotola-centrifuga per insalata (mamma docet) e poi le lascio allargate su un telo.
Nel frattempo grattuggiare i formaggi e sbucciare l'aglio. Inserire nel mixer il basilico asciutto, l'aglio, un buon pizzico di sale, i pinoli e solo un cucchiaio di formaggi. In genere alterno questi ingredienti versandoli nel mixer, per non far restare tutte le foglie sotto ed i pinoli sopra. Dare un primo giro di frullata, massimo un minuto per sminuzzare bene le foglie e solo allora aggiungere tutto il restante formaggio ed un pochino d'olio. Far girare ancora, versare pian piano a filo tutto l'olio restante emulsionando il tutto. Anche a seconda del mixer che si possiede, il risultato sarà più o meno cremoso (a me piace sentire i pezzetti di pinolo, non per niente è un "pesto", non una crema). Estrarre dal mixer, versare in vasetti e conservare in frigo massimo per una settimana (oppure congelare subito). Per evitare l'ossidazione in frigo ricoprire sempre con un velo d'olio la superficie del pesto.

Per i pancakes: sbattere l'uovo col latte, unire poco per volta le farine setacciate con lievito e bicarbonato mescolandole con una frusta. Per ultimo aggiungere il burro fuso e tiepido. Far riposare un'ora e poi procedere alla cottura su padella antiaderente leggermente unta di burro, versando mezzo mestolo di pastella per volta e rigirando ogni pancake un paio di volte. E' meglio tenere il fuoco basso come suggerisce Sigrid, per evitare bruciacchiature. Man mano che sono pronti conservarli impilati sotto un telo per non farli freddare.

Comporre il piatto con 3 pancake a testa: disporre sul primo un cucchiaio di stracchino e un cucchiaino di pesto, sparso a gocce. Continuare con gli strati fino all'ultimo pancake. Per far leggermente sciogliere lo stracchino passare 2 minuti in forno spento oppure microonde a bassa potenza (ma dovrebbe anche bastare il calore dei pancakes appena cotti).

lunedì 16 novembre 2009

Ho creato un mostro_Crema alle nocciole e fondente 70%


... un mostro in senso buono, come ho ripetuto in questi giorni agli amici raccontandogli questa ricetta. Un mostro perchè a differenza dei dolci preparati per una qualche occasione (che si suppone vengano interamente consumati in quell'occasione), questo barattolo rimane là, fuori dal frigo, ad occhieggiarti in silenzio aspettando solamente un cucchiaino che sfugga al controllo e ci si tuffi furtivamente dentro.
Da piccola non sono mai stata una grande fan della notissima crema spalmabile alle nocciole, tutt'al più facevo la collezione dei bicchieri coi personaggi stampati (ormai puro vintage anni '90).

Più tardi, il mio gusto ha iniziato a preferire decisamente il cioccolato amaro, quelle note aromatiche e pungenti ben lontane dalla pastosità del gianduia (e del cioccolato al latte/bianco). Si parla di cioccolato mangiato nature eh, per quello impiegato nelle ricette il discorso cambia. Bene, come raccontavo qui, ho da poco reperito uno splendido barattolo (anzi, secchiello!) di pasta di nocciole Tonda Gentile pura. Assaggiarne una punta di cucchiaino è già un'esperienza. Ma, a parte utilizzarla in ricette complesse, volevo per una volta togliermi lo sfizio di provare a produrre a modo mio una crema spalmabile al cioccolato. Da un anno riguardavo una ricetta trovata su Elle à table (preso a Parigi, sigh sigh), che prevedeva l'uso del latte condensato.
Il mio "integralismo" culinario però mi ha redarguito: "Latte condensato, magari del supermercato-multinazionali-ecc ecc?" "Nein!". Come sostituirlo? Lampo di memoria, Chiara parlava di latte condensato per la preparazione del dulce de leche. E che cos'è il dulce de leche se non latte fatto condensare con zucchero e profumato alla vaniglia? Trovato! Grazie Chiara :)

Crema alle nocciole e fondente 70%

cioccolato 70% di buona qualità 150g (oppure 100g)
cioccolato bianco 50g (oppure 100g al latte se avete usato 100g di fondente)
burro di cacao 50g
pasta pura di nocciola 250g
dulce de leche 100g (preparato secondo la ricetta di
Chiara)

Iniziare la preparazione del dulce de leche. Verso la fine della sua cottura iniziare a fondere dolcemente a bagnomaria od in microonde i due cioccolati con il burro di cacao. Quando sono intiepiditi circa a 30° unirli alla pasta di nocciola. Attendere che il dulce de leche sia denso, quando è il momento di toglierlo dal fuoco prelevarne la quantità indicata e mescolarlo lentamente al cioccolato. Quando è omogeneo versarlo in vasi sterilizzati (non farà il sottovuoto come per le marmellate perché non dovrà essere bollente). Se la consistenza sembra troppo liquida non preoccuparsi, il cioccolato risolidificherà parzialmente rendendola pastosa. Conservare in luogo fresco ma non in frigo per non far separare la patina bianca del burro di cacao, come succede se mettete in frigo una tavoletta di cioccolato. Non contenendo ingredienti deperibili come latte o panna dovrebbe conservarsi almeno due mesi, sempre se non incontra il cucchiaino impazzito di cui si parlava prima.
Questa ricetta partecipa alla raccolta "Con le dita nel barattolo" promossa da Martina in collaborazione con GialloZafferano.


martedì 10 novembre 2009

SGG (Segnalazioni Golose Genovesi) #2_Drogheria Torielli


C'è un posto, a Genova, dove mi perdo sempre volentieri. Nemmeno a farlo apposta, è nemmeno a 50 metri da casa mia. Già passando nei caruggi limitrofi, forse sarà autosuggestione, ma si avverte l'aroma intenso di spezie che emana questa preziosa bottega. I genovesi che leggono sicuramente già la conoscono, perché è davvero celeberrima: sto parlando della drogheria Torielli. Così piccola da sembrare incastonata in quell'angolo di strada di via San Bernardo, ad un turista frettoloso può anche capitare di passarci davanti senza notarla (ma assolutamente non di sabato o sotto Natale, quando una coda di clienti più o meno pazienti forma un capannello davanti all'ingresso!)


Il negozio, aperto nel 1929 da Matilde Torielli, ha conservato praticamente intatta l'atmosfera "d'altri tempi": spezie ed erbe sono riposte in contenitori di vetro allineati sugli scaffali, piccole boccette di essenze dalle etichette scritte a pennino si allineano nelle credenze a muro, pacchetti infiocchettati esibiscono un piccolo assortimento di cioccolateria e confiserie proveniente dalle pasticcerie di Genova (e limitrofe). Ma in assoluto sono le spezie, i caffè ed i the a farla da padroni. Più, ovviamente, frutta secca (ho l'abbonamento alla farina di mandorle di Avola), cioccolata e qualsiasi ingrediente "difficile" esistente sulla terra: è un piacere non avere di fronte occhi sgranati quando si chiedono burro di cacao, zucchero bianco di canna o agar-agar. La risposta è sempre affermativa e gentile, mai sbrigativa: le due sorelle proprietarie, nipoti della citata Matilde, chiacchierano sempre volentieri, consigliano, fanno assaggiare, annusare, indirizzano nelle scelte (e a volte mi dispiace quasi non amare il the, viste le innumerevoli varietà di cui dispongono). 
Non so se vi capita spesso di assistere ed interagire in conversazioni di oltre un quarto d'ora (tra clienti e gestori) su quale tipo di sale sia più adatto ad un certo carpaccio e perché, oppure di farsi raccontare per benino la provenienza di una farina o le differenze tra due qualità di vaniglia. Il genere di cose che mi mandano in visibilio (e che sembrano tarli da invasata alla maggior parte dei miei amici, ihih). Coccole allo stato puro. Una volta usciti, si resta un pochino frastornati del tipo "sogno o son desto?", l'umore migliora nettamente (se è una giornata storta) e si torna a casa con una voglia matta di mettere alla prova il contenuto dei preziosi pacchetti. Almeno, a me succede sempre così.


Drogheria Torielli
Via San Bernardo 32 rosso
9.30-12.30 15.30-19.00
chiuso domenica
consiglio mio: evitare il sabato 

giovedì 5 novembre 2009

L'autunno nel bicchierino


Ve lo ricordate il pain d'epices? Sì, embeh?-direte. Un paio di settimane fa mi lambiccavo il cervello nella ricerca di un dolce adatto a questo concorso, proposto per il secondo anno consecutivo dallo chef Santin. Come l'anno scorso ero convinta più che mai a partecipare, soprattutto per la possibilità di far valutare le ricette da un pasticciere che considero inimitabile a livello professionale ed anche umano (per quanto poco si possa intuire di una persona attraverso quello che trasmette "in rete", tramite il blog e Facebook). Però però, restava il fatto di dover creare qualcosa di un po' particolare, che convincesse me prima di tutto ma che non fosse qualcosa di già visto... insomma qualcosa di vagamente originale (dico vagamente perché, come in tutti i campi, nulla si inventa veramente da zero).

Dicevo, il pain d'epices. Mi piace così tanto da sembrarmi sprecato, in versione "basic". Perché non declinarlo in versione bicchierino? Avevo un piccolo avanzo di sidro dolce in frigo, dalla sera precedente (non bevo birra ma adoro il sidro specialmente demi-sec, quando l'ho scoperto in Francia anni fa è stato amore al primo sorso). Sidro chiama mele, mele chiamano caramello... e quindi, come lo scienziato che esclama "Eureka!" ho schioccato le dita e mi sono messa al lavoro:

Bicchierino d'autunno

Per il pain d'epices vedere ricetta
qui

Per la chantilly di ricotta
30g acqua
60g tuorli
110g zucchero
250g ricotta cremosa o (meglio) seiras fresco
150g panna
4g gelatina in fogli
20g zucchero a velo

Con acqua, zucchero e tuorli preparare una base per la chantilly: versare a filo lo sciroppo cotto a 120° sui tuorli, montare il tutto con le fruste fino a raffreddamento. Pesare 100g di questa massa ed unirla alla gelatina sciolta in microonde (precedentemente ammollata in acqua fredda) ed alla ricotta setacciata. Incorporare infine la panna montata con lo zucchero a velo.

Per le mele saltate
200g di mele golden
30g burro
30g zucchero
Tagliare le mele a dadini piccoli e regolari, fondere in padella il burro e saltarvi per 10 min. le mele mescolate con lo zucchero. Far freddare.

Per il caramello salato
60g zucchero
100g panna
15g burro
1g fior di sale

Caramellare a secco lo zucchero finchè sia bruno, decuocere con la panna calda, versata a filo mescolando bene. Quando è omogeneo aggiungere fuori dal fuoco il burro ed il fior di sale. Mescolare e lasciar raffreddare.

Bagna al sidro
100g sidro dolce o demi-sec (in questo caso aumentare lo zucchero a 80g)
50g acqua
50g zucchero

Mescolare gli ingredienti e farli ridurre della metà su fuoco dolce. Far freddare.

Composizione dei bicchierini: ricavare dalle fette di pain d’épices dei dischetti in misura del fondo dei bicchierini e disporveli. Imbibirli leggermente con la bagna al sidro. Proseguire con la chantilly alla ricotta, poi le mele saltate ed ancora chantilly fino all’orlo. Lisciare la superficie con una spatola. Riporre in congelatore 15 minuti circa. 
Ultimare con un sottile strato di caramello salato (versato a temperatura ambiente) e decorare a piacere.




lunedì 2 novembre 2009

Tarte à la citrouille (ou potiron) de Fanny


Non ho mai sottolineato abbastanza, in un anno di blog, quanto io adori la famiglia delle Cucurbitaceae, ovvero zucche e zucchine. In effetti anche nel salato tendo ad usare spessissimo verdure a tendenza dolce... finocchi, carote ed appunto zucche & company. E poi, come non trovare istintivamente simpatici questi ortaggi che fin dall'infanzia ci hanno suggerito immagini fiabesche e surreali?
E' un peccato che sui banchi degli ortofrutta si trovi quasi esclusivamente la zucca gialla (per capirci quella di Cenerentola). Anche se molto buona, la sua polpa è spesso filamentosa e non adatta a tutte le preparazioni.

L'altro giorno, al Mercato Orientale, mi sono imbattuta nell'unico banco che ne offriva diverse tipologie e su consiglio del venditore ho portato a casa 1,3 kg di zucca mantovana, di forma allungata e dalla buccia giallo pallido. Non sono ancora riuscita a capire il nome esatto di questa varietà, mi toccherà comprare un libro di botanica. La consistenza della polpa è pastosa e meno acquosa del solito, proprio quello che cercavo. Nel corso della settimana l'ho utilizzata per un risotto al raschera, un cake salato... e quando ci si mette anche Fanny, con questa splendida tarte, potevo io astenermi dal provarla? Mais certainement pas! Il risultato è cremoso, delicato e tutto sommato leggero. Per dare un tocchetto in più ho aggiunto solamente le mandorle tostate dopo la cottura, e due cucchiaini di sciroppo di mandarino comprato quest'estate a Menton, che ero curiosa di provare. Per il resto è perfetta.
NB per i francofoni: la citrouille è in effetti la zucca gialla, quindi sarebbe più corretto nel mio caso parlare di potiron.



Tarte au potiron
per la pâte sucrée:
farina 00 210g
zucchero a velo 85g
uova 1
burro 125g
farina di mandorle 25g
sale 3g
scorza d'arancio 

Per il ripieno:
polpa di zucca a dadi, pulita 500g
burro 1 cucchiaio
panna fresca 170g
uova 2
zucchero di canna (demerara) 70g
sciroppo di mandarino o d'arancio (facoltativo) 2 cucchiaini
vaniglia 1 bacca
cannella in polvere 1 cucchiaino
mandorle pelate e tostate 20g


Preparare la pâte sucrée lavorando il burro ammorbidito con lo zucchero a velo, il sale ed una grattatina di scorza d'arancio. Aggiungere, quando il composto è omogeneo, l'uovo, la farina di mandorle e la farina per ultima, impastando qualche minuto a mano. Far riposare il panetto in frigo per tre ore, poi stendere alto 4-5 mm e rivestire uno stampo da crostata oppure da crostatine monoporzione. Far nuovamente riposare in frigo per almeno un'ora.

Infornare nel frattempo la zucca, senza nessun condimento, per circa mezz'ora a 180° finché sia tenera. Ridurla in purea con il passaverdura ed aggiungervi il burro. A parte, battere le uova con lo zucchero e la panna, aggiungere la cannella, i semini di vaniglia e lo sciroppo. Unire la purea di zucca a temperatura ambiente.
Cuocere "in bianco" (cioè con carta forno e riso/legumi secchi) la base di pâte sucrée per circa 10 minuti a 170°, sfornarla e riempirla con il ripieno. Proseguire la cottura in forno ventilato per circa 40-50 minuti. A fine cotura dovrà presentarsi compatta ed asciutta anche nel centro. Ridurre le mandorle in granella e spargerle sulla torta. Consumare entro massimo due giorni perché l'umidità del ripieno tende poco a poco ad ammorbidire la pasta.