Croccante fuori, morbido dentro...anche se sembra l'imitazione di uno spot di qualche anno fa, sceglierei queste parole per descrivere in poche parole un macaron a qualcuno che non l'abbia mai assaggiato. Ma c'è di più: su questo petit four tradizionale, negli ultimi anni tornato in voga anche attraverso i foodblog, si sono scritti libri interi. Così fragili e di delicata preparazione, eppure così indimenticabili per chi li prova.
Storicamente, a Parigi i macarons SONO Ladurée: la maison, fondata a metà Ottocento, incute il rispetto proprio dei "mostri sacri" della pasticceria francese, eppure proprio per questo secondo me il personale presta meno cura e cortesia al cliente, quasi a dire "tanto in ogni caso siamo i più famosi e gettonati lo stesso". Un po' intimorite dagli stucchi scintillanti della fastosa boutique di rue Royale, io e Simona entriamo e, in due secondi netti, la commessa chiede se abbiamo già deciso quale dolce prendere. Di macarons in vista, nemmeno l'ombra, ma ci viene indicata la lista plastificata su cui scegliere (ehm..). In sottofondo, il discreto caos della sala da tè dove molti avventori stanno pranzando. Insomma, uno spazio piccolo e sacrificato per i dolci, e ancora peggio per i clienti. Peccato. Usciamo con un Paris-Brest (io) e una millefoglie splendida (Simona) più 6 piccoli macaron.
Nulla da dire sui dolci (a parte la crema del Paris-Brest che era un po' troppo "ferma", poco cremosa). I macaron, a parte la scarsità di ganache all'interno, avevano una consistenza perfetta ma in alcuni casi non se ne riusciva a riconoscere il gusto (quello ai fiori d'arancio ad esempio, molto colorante ma ben poco aroma!). Ottimo quello alla vaniglia.
Ovviamente, avendo in programma un test di pasticceria al giorno , non si poteva evitare Sadaharu Aoki e soprattutto Pierre Hermé. Sono rimasta impressionata dalla precisione e del senso di minimalismo e ordine della boutique di Aoki (d'altronde propri della cultura giapponese): abbiamo consumato le nostre monoporzioni su un tavolino basso, in splendidi piatti quadrati in vetro dove il dolce, posto con religiosa cura (e guanti in lattice indossati al momento!)! dalle commesse, era ESATTAMENTE in posizione parallela ai margini, non un millimetro in più nè uno in meno, accompagnato da un bicchiere d'acqua (come per le degustazioni). Tutto perfetto, inaccepibile, chirurgico. Io ho testato un dolce di cui malauguratamente non ricordo il nome, ma gli esperti lo riconosceranno dalla foto, che alternava pasta di sesamo nero a un biscuit al the verde matcha e altri di chantilly (credo).
Splendido come alternanza di consistenze e sapori inconsueti, meno entusiasmanti i fagioli rossi azuki contenuti nel rotolo al matcha provato successivamente (ma è solo gusto personale).
Ma veniamo al dunque, ovvero Hermé. Dopo tante recensioni, pareri e commenti strabiliati da tutto il mondo, non potevo che entrare nella piccola boutique di rue Bonaparte in religiosa ammirazione. Già solo l'ambiente, minimale ed elegante, sottolinea che i veri protagonisti sono LORO, i dolci. I commessi, giovani molto eleganti (e alcuni davvero degni di nota!) in divisa nera, sembrano tante macchinette operose e precise nel loro salutare, chiedere, inscatolare e servire. Il tutto lasciando il tempo al cliente di riprendersi dalla visione mistica e fare la propria scelta. Premesso, in quei giorni la collezione Fetish era "Infiniment vanille", forse quella che più di tutte mi attirava. Ergo, senza troppe esitazioni, due tartelettes della sopracitata collezione per noi, più sei macarons.
Credo di poter affermare che quella tartelettes rimarrà il ricordo più indelebile nella mia mente: mai assaggiato nulla di più, di più..non ho nemmeno le parole per descriverlo...semplicemente divino! Dopo il primo morso, io e Simona ci siamo guardate, senza parole! Parlando di macarons, le farciture di ganaches sono più generose rispetto a Ladurée, e soprattutto i sapori sono definiti (comica la mia reazione addentando quello alla nocciola Piemonte e tartufo!). C'è l'innovazione di abbinamenti particolari, come in quello ai marroni e the verde, ma le basi della preparazione rimangono solide e perfette: i gusci crocanti e teneri all' interno, il sapore mai troppo stucchevole. E pensare che io non amo gli impasti "meringosi"! Inutile dire che, tornate il giorno seguente, abbiamo testato gli ultimi sei gusti che mancavano all'appello: nella mia classifica vince quello alla rosa, seguito dal Mogador (cioccolato e frutto della passione) e da quello al caramello al beurre salée. Ancora una volta, grazie ai foodbloggers che mi hanno fatto conoscere questo angolo di paradiso a Paris! Oltre che per la sua atmosfera da sogno, per la sua storia, per i suoi abitanti, credo che questa città rimarrà sempre nel mio cuore anche per la sua cultura gastronomica (e che scoperta!), giustamente valorizzata molto più di quanto non si faccia con quella italiana, altrettanto ricca e meritevole.