lunedì 28 giugno 2010

Le mani "in pasta", letteralmente_ Pane integrale con fiocchi d'avena


Ultimamente la mia libreria culinaria si sta orientando verso nuovi lidi, quelli del salato, delle tecniche di cottura innovative, dei lievitati. Anche se il primo amore non si scorda mai, da tempo per i lievitati ho una sorta di odio-amore, guardo con rispetto e ammirazione chi riesce a mantenere vivo il lievito madre e programmarsi una lavorazione di 4 giorni per un panettone.

Non che nella pasticceria sia necessaria meno tecnica ma, non so come dire, i risultati e gli errori sono evidenti in tempi brevissimi-la crema straccia, i macaron si crepano, il pan di spagna resta basso come una soletta-. Invece un impasto lievitato è sostanzialmente una cosa viva, che a seconda della lavorazione, del clima, della farina può reagire in miliardi di modi diversi. Ci metto anche il mio fattore impazienza (tipo fissare intensamente gli impasti quasi a dirgli "E cresci! Dai dai lievita ancora un po'!") e l'imprevedibilità dei programmi giornalieri che non mi permettono spesso di rispettare i tempi di un lievitato.

Nonostante tutto ciò, appunto, sul mio scaffale sono arrivate due new entries tutte dedicate alla panificazione: "Fare il pane in casa" di Ciril Hitz e "The handmade loaf" di Dan Lepard, trovato ad Amsterdam in una libreria anglofona. Il primo mi ha convinto per le spiegazioni precise e soprattutto per le immagini che chiariscono quali sono i gesti corretti, la manipolazione degli impasti ed alcuni dettagli tecnici che troppo spesso sono omessi o dati per scontati. Purtroppo sul fronte ingredientistica (farine e lieviti!), essendo un libro di origine americana bisogna affidarsi al proprio buonsenso ed esperienza e correggere qualcosina.
Per esempio per questo pane integrale era prevista, nella fase di impasto, l'utilizzo di sola farina integrale, che mi è sembrato rischioso dato il basso grado di assorbimento e bassa forza. In maniera del tutto empirica (dati precedenti esperimenti in cui avevo sfornato veri e propri mattoncini) ho sostituito poco più di un terzo della farina integrale con manitoba (Lo Conte, costa un po' ma ne uso sempre poca per rinforzare gli impasti) e farina 0.

Il risultato non è certamente definitivo, ma mi sembra migliore di precedenti esperimenti (soprattutto per durata del pane e consistenza della mollica, alveolatura fitta ma regolare, sofficità). E' certamente un pane "nordico", un po' come quelli altoatesini, tedeschi o quelli assaggiati ad Amsterdam, secondo me perfetti per panini o per la colazione, magari tostati.

Vorrei sottolineare che la masochista qui presente non dispone di planetaria e si è resa conto solo impastando a mano della percentuale di idratazione altissima di questo blob che stava per risucchiarmi. Se anche voi volete tentare l'impresa, non aggiungete assolutamente farina all'impasto ma cercate di lavorare con mano leggera ma costante alternando le due mani, per 5-6 minuti. Con le pieghe e le successive lievitazioni l'impasto diverrà gradualmente sempre più gestibile e "addomesticato" :)
Ovviamente sono benvenuti i commenti dagli esperti in materia su come dosare ed equilibrare gli ingredienti in casi simili.


Pane integrale con fiocchi d'avena

Biga
farina 0 60g
farina manitoba 30g (contenuto proteine almeno 13%)
acqua a 21° 50g
lievito di birra fresco 4g

Impasto
farina integrale 200g
farina 0 80g
farina manitoba 45g (contenuto proteine almeno 13%)
acqua a 25° 190-225g (a seconda dell'assorbimento delle farine)
malto o miele 20g
lievito di birra fresco 5g oppure
lievito secco 1,5g oppure
lievito madre liofilizzato (ho sperimentato quello del Molino Rosso)5g
sale 7g
semi di girasole tostati 25g (facoltativi)
semi di zucca tostati 25g (facoltativi, io non li avevo quindi nada)
fiocchi d'avena 25g

Impastare velocemente, per 2 o 3 minuti, gli ingredienti della biga e lasciar riposare 18 ore in un recipiente ermetico, a temperatura ambiente. Dovrà essere raddoppiato e presentare bollicine in superficie.

Versare in planetaria la biga a pezzetti, le farine, l'acqua, il lievito scelto ed il malto. Lavorare per 3 minuti a bassa velocità, aggiungere il sale, metà dei fiocchi d'avena ed i semi e proseguire la lavorazione per altri 3 minuti a media velocità. Collocare l'impasto in un recipiente spennellato d'olio, coprire con pellicola o coperchio e lasciar riposare 45-60 min. La temperatura dell'impasto dovrebbe essere tra i 24° ed i 26°. In questa fase il mio impasto era ancora molto molle, dato che ho usato tutta l'acqua prevista. La prossima volta procederò per gradi, ma credo comunque (sempre del tutto empiricamente) che la farina integrale assorba più lentamente l'acqua, e che quindi in questa fase non ci si debba aspettare un impasto troppo sodo. Sbaglio? Correggetemi, o guru della farina...

Rovesciare l'impasto sulla spianatoia leggermente infarinata, appiattirlo dolcemente e procedere con una serie di pieghe di rinforzo del primo tipo (al punto 3 ripetere nuovamente la sequenza dopo aver ruotato l'impasto di 90°) e lasciar riposare coperto (con la parte liscia verso l'alto) per altri 45-60 min.

Riprendere l'impasto, dare una serie di pieghe del secondo tipo (vedere foto qui) e formare una pagnotta ovale da rotolare delicatamente nei fiocchi d'avena rimasti e disporre in uno stampo leggermente unto o foderato di carta forno con la saldatura verso il basso. Coprire di pellicola senza sigillare e lasciar lievitare ancora 90 min. Passati i primi 30 minuti, accendere il forno per riscaldarlo a 250° con la vaschetta del vapore* ed una teglia rovesciata sul ripiano più basso.

Infornare lo stampo appoggiandolo sopra la teglia calda, versare dell'acqua nella vaschetta del vapore e chiudere subito lo sportello del forno. Abbassare la temperatura a 230° (sarà già calata all'apertura del forno) e cuocere per 20 minuti. Abbassare a 190° e proseguire la cottura altri 20 minuti, coprendo con alluminio se il pane dovesse colorirsi troppo. Sfornare, togliere il pane dallo stampo e rimetterlo ad asciugare 5 minuti a 190° appoggiato sulla griglia accendendo la funzione ventilato. Sfornare e lasciar raffreddare su una griglia. Il pane si conserva bene per 2-3 gg ben chiuso in sacchetti di carta. Si può facilmente congelare tagliato a fette.

*Hitz consiglia, per creare un getto di vapore al momento dell'infornata, di far preriscaldare in forno un recipiente metallico contenente piccoli oggetti metallici come viti, rondelle, ecc (inox, altrimenti genererete un ruggine-party!). Dopo aver infornato l'impasto, si versa un fondo di acqua nella vaschetta per creare il vapore e si richiude subito lo sportello. Mi sembra un buon metodo per dare la "spinta" iniziale al pane ma attenzione al viso ed alle mani: meglio restare più distanti possibile versando l'acqua, usando magari una bottiglia tenuta per l'estremità. Altri metodi come lo spruzzino d'acqua sulle pareti del forno possono essere altrettanto efficaci ma rischiano di danneggiare il vetro e le lampadine di alcuni forni, soprattutto i più nuovi e tecnologici... quindi occhio!








mercoledì 23 giugno 2010

Ascolta la tua sete!_ La festa del Cavolo


Niente, anche stavolta ci sono cascata, l’ennesima chiamata alle armi del Cavoletto esigeva una risposta pronta e scoppiettante. E’ questo fascino morboso dei concorsi tra blogger -ci si potrebbe intitolare una tesi- che all’inizio guardi con sospetto, dall’esterno, promettendo di non farti corrompere con giocattolini tipo un blender Kitchen Aid (sospiro) od una cocotte Le Creuset (doppio sospiro). Poi però scatta lo spirito agonistico da poltrona, e ti metti a sfogliare un libro di cui non cambieresti una virgola cercando quel qualcosa che sì, si potrebbe anche fare colà invece che così, ma senza nemmeno stravolgerlo troppo, uhmm…

Alla fine mi sono decisa per il lancio in un campo inesplorato, quello delle bevande, che a pensarci adesso com’è che non mi era mai venuto in mente di sperimentare cose tipo smoothies, lassi, ecc?
La limonata invece mi richiama vignette di Giovani Marmotte e telefilm americani, ed anche se non parto per nessun picnic me ne tengo un bel bicchiere sulla scrivania.

“Agrumata” al miele e zafferano
(dalla Limonata al miele e lavanda del “Libro del Cavolo”)

In qualche riga veloce veloce: mettere in un pentolino il succo e la scorza grattata di un grosso limone di Amalfi, il succo di un lime e la scorza di un’arancia (non essendo più stagione ho usato quella a pezzetti, disidratata sui caloriferi quest’inverno). Aggiungere 3-4 piccoli pistilli di zafferano, due cucchiai di miele d’acacia, tre cucchiai di zucchero e un bicchiere scarso d’acqua. Far sobbollire tutto a fuoco basso per venti minuti. Lasciar riposare in frigo per una notte poi filtrare e diluire in 1,5-2l d’acqua fredda. Conservare in frigo e servire volendo con qualche cubetto di ghiaccio. Superfluo precisare che tutti gli agrumi di cui si usa la buccia dovrebbero essere non trattati.

domenica 20 giugno 2010

Gatti, dashi e mangiatori di patate: Amsterdam


Ad Amsterdam c’ero già stata, anche se solo per una toccata e fuga di un paio di giorni. Ma c’è una cosa strana, a tornare in qualsiasi città; basta un itinerario diverso, punti di vista leggermente spostati e la cartolina mentale che avevi del posto in questione ti si frantuma in mille pezzi.
Del rischiare la vita passeggiando sulle piste ciclabili me lo ricordavo - però quando inforchi la bici anche tu, provi un sottile piacere nello scampanellare al turista col naso per aria ☺ -.
Del museo Van Gogh, come dimenticarsi (e qui lancio una personale obiezione al Ministero della Cultura olandese: nessuna riduzione per studenti né gruppi? mah). Per poi scoprire che tutte le tele sono state vetrate… con conseguenti acrobazie/borbottii di disappunto per godere della visuale antiriflesso giusta. Ri-mah.


Mi ero invece persa l’alta percentuale di popolazione felina: non c’è finestra, hall di albergo, ristorante in cui non si affacci mollemente il gatto di casa, grigio o rosso. In alcune zone spuntano malinconiche sentinelle ad ogni finestra, che un vero fotografo ci avrebbe già inventato un calendario a tema (probabilmente esiste). E poi la luce tagliente, marziana, di questo periodo dell’anno: ci si gode il tramonto delle 22.30, ed anche col cielo velato gli occhi reclamano un occhialetto protettivo. Nei panni del vero fotografo di prima, azzardo che questo tipo di luce potrebbe essere perfetto per scattare, specialmente nel tardo pomeriggio.

Ultima chicca, almeno per me, è stata la riconciliazione con le frietjes, le patatine fritte. In effetti cosa potevo aspettarmi da una cucina in cui i tuberi sono componenti essenziali (vedi anche alla voce stamppot)?
Forse perché le associo al fast food, o al luna park con l’odore misto di frittelle e zucchero filato, o perché certi tormentoni d’infanzia crescendo non sembrano più così speciali, fatto sta che mi sono gustata dopo anni di felice astinenza delle patatine fritte con tutti i crismi; ben cotte anche dentro, croccanti, evidentemente non provenienti da bustone surgelate.
Questo ed altri miracoli nelle note mangerecce sparse di seguito:
Affamati dopo le visite ai vicini musei (Van Gogh, Rijksmuseum, Stedelijk) ma dubbiosi rispetto ai baracchini di hot dog della zona? Questa enoteca-gastronomia ha ristorato i nostri stomacini mediterranei, indeboliti da due giorni di panini, salse e strane mescolanze oriental-olandesi con una scelta di insalate e taboulé da asporto, salumi e formaggi anche stranieri, pani con ogni sorta di farina e semino, macedonia (il grassetto ci sta tutto). Se poi è bel tempo ci si può svaccare sul prato del Museumplein e far finta di prendere il sole. Detto tra noi, meglio non sottovalutate il sole del nord, qualcuno è riuscito ad ustionarsi il viso nel corso di mezza giornata in bici.

Se si supera lo scoglio del nome impronunciabile, questo localino è davvero grazioso. Atmosfera vagamente parigina, cucina in parte a vista, piatti prevalentemente di carne con qualche guizzo creativo: la mia porzione faraonica di antipasto (una simil-tarte tatin di spinaci e chèvre al miele e mandorle) mi ha lasciato spazio solo per una fetta di torta di mele con gelato alla vaniglia, altrettanto faraonica nella quantità. Ecco, questa è un’altra cosa che non ricordavo di Amsterdam: dai pancakes agli spare ribs alle patatine fino ai dessert, le porzioni sono gigantesche. Sempre.
Forse uno dei più recensiti sulle guide della città, visto l’affollamento di locals e turisti. Non del tutto a torto: le foto delle mamme che danno il nome al locale tappezzano le pareti in mille cornicette portate dai clienti, ed anche nella mise en place regna l’anarchia: all’inaugurazione ogni avventore portò il proprio piatto e bicchiere, da allora in possesso del locale. Risultato, un meraviglioso pout-porri di stoviglie. Per quanto riguarda il cibo, meglio buttarsi sul misto tipico (acc non ricordo il nome) comprendente stufato, stampoot e verdure e lasciar stare i piatti creativi.
Dolci pollice verso: il nostro “crumble” era una sorta di zuppetta di crema dove navigavano sparute briciole inzuppate e pezzetti di frutta.
Consigliata la prenotazione.
4-Noordermarkt_nell’omonima piazza antistante la Noorderkerk, ogni domenica h 9-15
Senza saperlo, siamo capitati in zona proprio durante l’apertura del mercato. Ho ragionato sulla resistenza che poteva avere una cassa di splendido rabarbaro nel mio bagaglio a mano, e piangendo ho desistito ☺ Oltre agli ortaggi e frutta, in questo farmer’s market si vendono pani di ogni ordine e tipo, formaggi tipici, funghi (stesso discorso del rabarbaro con gli shiitake freschi), salumi.

Forse quello che ho preferito tra tutti, anche per il motivo delle frietjes prima citate. Atmosfera fresca e luminosa, pareti chiare e l’immancabile gatto. Cucina olandese non troppo carica né affogata di salse, un menù giornaliero esposto in lavagna più le basi fisse. E’ anche sala da the.
Nota a margine: forse per la grande apertura e curiosità riguardo alla cucina estera, quasi ogni locale seppur tipico (compreso questo) propone qualcosa di speziato e vagamente orientaleggiante, o ancora spopola la “pesto sauce”. Ho preferito astenermi.

Il caffè che vorrei avere sotto casa per leggere o studiare, per l’atmosfera vintage e rilassata. A metà pomeriggio, una tazza di the e torta di mele sui tavoli azzurrini di fòrmica ci stanno a meraviglia, anche perché la temperatura tendeva ancora al freschino, e magari ci scappa pure un giretto nel vicino negozio di abbigliamento e oggetti d’epoca (ammetto, sono malata).
Proseguendo ancora per la bella Zeedijk, lo spirito da gastrofanatici non resisterà ad una visita da Dun Yong – strepitosa dritta da Comida- per ogni accessorio da cucina e materia prima per la cucina orientale. Avrei rapinato il settore delle ceramiche giapponesi da tavola.
Sulla via si incontra anche un tempio buddista e numerosi ristoranti cinesi, indonesiani e vietnamiti (questi, sì, gestiti da orientali!)

Ultimo consiglio: anche se non pedalate da dieci anni, forzatevi ad affittare la bicicletta -coi freni normali magari-per almeno una giornata. La prospettiva della città si sposta anche così.

giovedì 3 giugno 2010

Il cantuccio anarchico


Queste pause nel blog mi irritano un po', e più guardo la data dell'ultima pubblicazione più mi insulto da sola. E non che io abbia disertato la cucina. Tra una focaccia di Recco fatta a domicilio (ho finalmente trovato una ricetta valida, presto sul blog) esperimenti coi sorbetti, gazpachi, limoncello, fette biscottate non mi sono certo fermata. La news dell'ultim'ora è che il raptus etno-cuciniero mi ha colto in pieno, colpa anche di Cavoletto. Che sia sintomo di una crescente voglia di scappare? Aprire il cassetto delle spezie riesce solo parzialmente a placare questo scalpitamento. Fiondarmi al negozio appena scoperto di alimentari asiatici ed africani già funziona meglio. Invece guardare la lista dei documenti richiesti all'università di Parigi riesce direttamente a farmi venire l'emicrania.

Altra news: ho letto tutto d'un fiato Pane e bugie di Dario Bressanini, trovandolo davvero ottimo-come d'altronde il suo blog- per il linguaggio chiaro, il tono per nulla pedante e le spiegazioni scientifiche COMPRENSIBILI. Soprattutto ho apprezzato la spinta a vedere "oltre" i punti di vista parziali e le troppe notizie strombazzate in materia alimentare: OGM, salubrità del biologico, economia agricola, ecc. Bressanini ha il magico potere di farti crollare idee e convinzioni ma lasciarti col sorriso, e forse leggermente più consapevole di prima :)
Questi cantucci-che vorrebbero essere un po' pain d'épices style-appartengono alla lista degli spignattamenti citati prima, fatti in una delle malinconiche settimane scorse piene di pioggia. Ora che finalmente splende il sole forse non saranno il fine pasto più adatto alla prova costume (ed essendo più aromatici degli originali ho anche dei dubbi sul matrimonio col vinsanto), ma per merenda con tre dita di latte freddo ci stanno una meraviglia... a ferragosto come a Natale.

Cantucci rustici (MOLTO liberamente modificati dalla ricetta di Stefano Spilli feat. Paoletta)
farina 00 250g
farina di segale 200g
zucchero 150g
zucchero di canna (tipo demerara) 200g
mandorle con la pelle 100g
nocciole con la pelle 100g
pistacchi 50g
uova intere 2+1 per spennellare
tuorli 3
lievito per dolci mezza bustina
burro fuso tiepido 50g
scorza grattugiata di un limone
cannella un cucchiaino
essenza di fiori d'arancio 3 gocce (facoltativo)
vaniglia i semini di mezza bacca
sale 6g


Preriscaldare il forno a 200°. Tostare tutta la frutta secca a fuoco bassissimo in padella antiaderente, non deve colorire. Farla intiepidire ed eliminare le pellicine che eventualmente dovessero separarsi, ma in questo caso è bene che ne restino un po'.
Montare per almeno 5 minuti le 2 uova con i tuorli e tutto lo zucchero, il sale, le spezie/aromi e la scorza di limone. Il composto deve essere gonfio come quello di una torta. Aggiungere a filo il burro (non caldo!) e poco a poco le farine setacciate col lievito, incorporandole con una spatola. Aggiungere infine la frutta secca controllando che sia distribuita regolarmente nel composto. Aiutandosi con le mani bagnate o spolverate di zucchero a velo spezzare il composto in filoncini piatti, larghi 5cm circa (io ho fatto solo due o tre filoncini grandi per ottenere dei biscottoni ma le pezzature piccole cuociono meglio all'interno).
Spennellare con l'ultimo uovo sbattuto i filoncini ed infornarli appoggiati su carta forno in teglia, distanziati perché gonfieranno. Cuocere ventilato a 190° per circa mezz'ora, devono essere ben coloriti esternamente.
Sfornare e far riposare almeno 4-5 ore, tagliare con un coltello da pane delle fettine da 1-1,5 cm, da reinfornare a 130° per circa 10 minuti, voltandole a metà cottura. Fare attenzione perché da caldi sono fragili e sembrano poco cotti, ma induriscono molto freddandosi.