martedì 23 febbraio 2010

Mai provato, con le carrube?


Certe associazioni nascono, oltre che da confronti "gustativi", anche sull'orlo di suggestioni geografiche. Ma qui non è una cosa voluta, è bastato l'ennesimo sguardo sconsolato al barattolo di farina di carruba nella mia dispensa per viaggiare mentalmente in Sicilia, fare una capatina ad Avola per le mandorle e tornare coi piedi per terra. Lui, il barattolo, ci è finito per sbaglio qualche mese fa nel cassettone: in cerca della farina di semi di carrubo come addensante per gelato, ho subito un piccolo misunderstanding alla drogheria Torielli. Le mandorle invece, sempre di Torielli, erano fresche di acquisto.
E poi c'è questa ingiustizia dei surrogati: la maggioranza delle informazioni in rete sulla farina di carrubo la declassano a sostituto dietetico del cacao, perché simile nell'aroma e cromaticamente ma, meraviglia delle meraviglie, più povera di grassi e calorie.

Invece, da paladina dei frutti dimenticati, vi riporto alle informazioni precise di wikipedia.
Oltre all'inevitabile rimembranza di domeniche passate a sbucciarsi le ginocchia sui rami nodosi di un carrubo espatriato ai parchi di Nervi (Genova), c'è da dire che questa farina ha un aroma tutto suo, vagamente legnoso e tostato. Sì, ok, qualcosa del cacao c'è, ma sicuramente è meno dolce e non starebbe male in abbinamenti salati... qui gli ingranaggi girano: pasta fresca? un risotto? e con la carne? Un avanzo di moscato passito nel frigo ha fatto il resto (questo però è del "continente", decisamente molto molto a nord :), ed anche se l'associazione più immediata è stata PESCA! ho guardato il calendario, la finestra e sono tornata rapidamente in me (baaaaasta pioggia, baaaasta freddo, e che siamo a Londra?).
Ovviamente, chi non avesse voglia di mettersi a cuocere le pere, o di sciropparsi il passito sciroppato, può limitarsi a tortino e crema. Toh, è pure gluten free (ma non l'ho fatto apposta, ho usato la fecola per tenere la consistenza più fondente possibile).

Tortino alla mandorla e carruba
burro 100g
zucchero 100g
albumi 80g (circa 3 di uova medie)
uova intere 50g (1 medio)
fecola di patate 40g
farina di carruba 30g
mandorle 70g
ricotta 50g
lievito chimico
essenza di mandorla amara

Crema inglese
tuorli medi 2
latte 150g
panna fresca 50g
zucchero 40g
vaniglia mezza bacca

Pere cotte
pere mature e sode 2-3 (kaiser, williams, paradiso)
acqua 500g
zucchero di canna 100g
moscato passito (o passito di pantelleria) 80g


Pere cotte: sbucciare e tagliare a metà (od in quarti se sono cicciose come le paradiso!) le pere, metterle in casseruola, ricoprirle d'acqua ed aggiungere lo zucchero di canna. Unire 20g di passito e la buccia della bacca di vaniglia (conservare i semini che serviranno per la crema inglese). Cuocere a fuoco basso per circa 15 minuti dal momento dell'ebollizione. Spegnere il fuoco e lasciare le pere in infusione nello sciroppo. Ancora meglio se si preparano il giorno prima e si conservano in frigo.

Tortino: in padella antiaderente tostare le mandorle, farle raffreddare e pestarle al mortaio fino a ridurle in farina (se ne rimane un pochino in granella è anche meglio). Battere lo zucchero con le uova e gli albumi, senza montarli. Fondere il burro, quando è intiepidito unirlo alle uova assieme alla ricotta. Aggiungere anche le mandorle e una goccia di essenza di mandorla amara. Poi la fecola, il lievito (appena una punta di cucchiaino) e la farina di carrubo setacciati tutti assieme. Rendere il composto omogeneo con la frusta, versarlo in stampini bassi e larghi, imburrati ed infarinati. Infornare per circa 30 minuti in forno statico a 180°. Far raffreddare.

Crema inglese: fare un'infusione di semini di vaniglia nel latte e panna riscaldati. Spegnere ed attendere 30 minuti. Battere i tuorli con lo zucchero, riscaldare nuovamente il latte e versarne la metà sui tuorli battendo subito con la frusta. Riportare il tutto su fuoco basso finendo di aggiungere il latte, cuocere fino ad 85° mescolando continuamente (non deve arrivare a bollore). Togliere dal fuoco, filtrare e far raffreddare bruscamente con un bagnomaria ghiacciato. Conservare in frigo.

Far ridurre il passito restante in un pentolino con due cucchiaini di zucchero, a fuoco molto basso, fino ad ottenere una consistenza sciropposa.

Comporre il piatto un po' come preferite: tortino sotto, sopra, di lato alla pera, con zucchero a velo o senza; crema alla base o versata tiepidina sopra a tutto; la riduzione però versatela parsimoniosamente a gocce :) Lo so, sono terribilmente leziosa, ma ho ceduto alla decorazione della crema fatta con lo stecchino.



lunedì 8 febbraio 2010

Tornando alle basi: pâte à choux


Se scorro indietro la lista dei post in archivio, mi rendo conto che negli argomenti non c'è assolutamente filo logico, saltello da una sacher al pan brioche senza preoccuparmi (come Paoletta fa con i lievitati per esempio) di ritentare variazioni sulla stessa ricetta per ottenere risultati sempre migliori o poterli confrontare. Il fatto è che, le poche volte che ripeto la stessa ricetta, è già passato troppo tempo dalla versione precedente e quindi la mia memoria fa cilecca. Anche sfornare per due-tre volte di seguito che so, la sacher, metterebbe seriamente a rischio la situazione già precaria del mio colesterolo.

Infine è anche vero che utilizzando spesso ricette di sacri-geniali-intoccabili pasticceri, il discorso cambia un pochino rispetto ai lievitati; mi limito a fare piccole modifiche, semplificare le composizioni od abbinare in maniera diversa le ricette di base (sacre-geniali-intoccabili) lasciandomi guidare dai miei gusti e dall'istinto.A proposito di basi, appunto, com'è che in un anno e passa di blog non mi era mai passato per la testa di fare i bigné? Questi puffosi amici che fanno tanto "pranzo della domenica"? Schifosamente golosa già da piccola (ma in realtà più di salato, contrariamente ad ora), mi avventavo su quelli al cioccolato scartando quelli con lo zabaione. Certo che è un po' riduttivo pensare solo ai classici bignè ripieni e glassati che si vedono da noi quando la pasticceria francese ha inventato miriadi di combinazioni: la torta Saint-Honoré, il Paris-Brest, gli éclairs, la religieuse, il croquenbouche, ecc. E vogliamo parlare del salato? Infinite variazioni di ripieni formaggiosi, magari in accompagnamento ad una bella vellutata di verdure...
Ora, per affrontare la pâte à choux ci vuole qualche piccola accortezza e muscoli di ferro in assenza di planetaria, ma durante una lezione di cucina dedicata, da Cooking qui a Genova, ho visto e sperimentato in diretta tutto il procedimento con uno dei migliori pasticcieri della città (in passato a servizio da Ladurée, non so se me lo spiego). Originariamente la ricetta prevede solo acqua, ma trovo che il colore ed il gusto finali siano migliori con metà latte. Uno dei punti critici è anche la farcitura: deve essere effettuata non troppo in anticipo per evitare che gli choux si ammoscino, ma nemmeno troppo tardi per evitare di sentire il "secco" del guscio separato dalla farcitura cremosa. Direi che 2-4 ore sono un buon compromesso, e poi in frigo fino al momento di servire.

Pâte à choux
acqua 125g
latte 125g
burro 100g
sale 2g
zucchero 5g
farina 00 150g
uova medie 4/5


Preriscaldare il forno a 250°. Portare a ebollizione l'acqua con il latte, il burro a pezzetti, sale e zucchero. A parte setacciare la farina. Non appena la miscela raggiunge il bollore, spegnere il fuoco. Versarvi tutta in una volta la farina (MOLTO IMPORTANTE!). Riportare su fuoco bassissimo mescolando energicamente con un cucchiaio di legno, fino a che il composto formerà una palla che si staccherà dalla casseruola. Dopo un minuto scarso sarà asciutto al punto giusto, e sfrigolerà un pochino (non smettere comunque di mescolare). Trasferire il composto in una boule, attendere qualche minuto che intiepidisca ed iniziare ad aggiungere le uova, una per una. All'inizio sarà difficile amalgamare, mano a mano la consistenza sarà più elastica e liscia. L'ideale sarebbe una planetaria con l'accessorio a foglia (voglio il Kitchen Aiiiiiid!), perché l'impasto è piuttosto duro, ma in mancanza... cucchiaio di legno e olio di gomito! A seconda del peso delle uova e di quanto si è asciugato l'impasto al fuoco potrebbe essere necessario aggiungere il 5° uovo, ma la consistenza finale deve essere comunque collosa, e la superficie setosa (prendendo una cucchiaiata di impasto con il cucchiaio di legno e battendolo lateralmente sul bordo della boule deve formarsi una "punta" tremolante che discenda di 5-6 cm: se è troppo morbido colerà dal cucchiaio, se troppo sodo la "punta" non discenderà abbastanza). Quindi, nel dubbio, utilizzare 4 uova, lavorare ancora per un po' a mano od in planetaria per far perdere "forza" all'impasto, e se necessario aggiungere il 5° uovo (o metà uovo).
Adesso viene il bello: con la sac à poche a bocchetta liscia (8mm-1cm) formare piccoli mucchietti equidistanti sulla placca coperta di carta forno, considerando che gonfieranno in cottura. Piccola digressione: non so perché ma una delle cose che mi incantano di più è osservare i pasticcieri che lavorano in maniera perfetta col sac à poche, quasi fossero macchine industriali che creano pezzi tutti identici. Chiusa parentesi. Se ben fatti, i mucchietti saranno privi di puntina in alto, a forma di semisfere. In caso contrario, inumidirsi leggermente l'indice ed appiattire 'ste benedette puntine (non è un vezzo estetico ma serve ad evitare che brucino in cottura).
A questo punto, volendo, si possono cospargere gli choux di granella di zucchero, di mandorle, ecc. Infornarli a metà altezza in forno statico, abbassando a 200°. Quando si saranno già ben gonfiati e coloriti (su un libro di Montersino ho trovato il termine tecnico "sbocciati", mooolto romantico :) aprire per qualche secondo una fessura nello sportello del forno, chiudere e proseguire in modalità ventilata per farli asciugare bene, eventualmente abbassando a 180°. Il tempo totale di cottura varia dai 20 ai 30 minuti, a seconda del forno (ognuno conosce il suo). Sfornarli, farli intiepidire e trasferirli su una griglia. Si possono anche tranquillamente congelare ben chiusi negli appositi sacchetti.

lunedì 1 febbraio 2010

agra-raga-gara-Agar!_ Panna cotta alla nocciola


Perdonate il titolo un po' stupido stile Settimana Enigmistica... in qualche modo devo risollevare il lunedì mattina. Anche se il sole splende, il freddo non lascia ancora tregue e per la prima volta quest' anno mi sono beccata la mia dose di acciacchi (un solo giorno di clausura disseminando casa di coperte, cuscini e fazzoletti appallottolati). Tornare a casa e cucinare sarà più che mai un conforto, in questi ultimi mesi d'inverno. Ammetto, sono in pieno mood da "Kitchen" della Yoshimoto, che già dall'incipit mi ha conquistata: "Non c'è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com'è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano. Anche le cucina incredibilmente sporche mi piacciono da morire."
Se non vi è mai capitato fra le mani cercatelo, è proprio una perla (chissà come, pur essendo del '91, non mi era mai balenata l'idea di sfogliarlo in libreria).

Altra scoperta, anche geograficamente in tema (Giappone: che pure il Cavoletto adesso è in trasferta; coincidenze) è l'agar-agar. Come il tiramisù, la panna cotta è uno dei dolci al cucchiaio più bistrattati e maltrattati nel mondo della ristorazione. Piccole mine caloriche ballonzolanti, sono preparate a volte con così tanta gelatina da potersi utilizzare come dischetti da hockey. Mi ha sempre fatto impressione pensare alla concentrazione della panna, praticamente pura, in così pochi cucchiai rispetto al volume che ha quando è montata. Poi, anche un po' perché volevo iniziare a sperimentare 'sto benedetto agar, mi son detta "iniziamo da una cosa semplice". Ero curiosa soprattutto di confrontare la consistenza del risultato finale rispetto a quella data dalla gelatina in fogli. Non si può considerare l'agar come "sostituto vegetariano della gelatina", perché è proprio un'altra cosa. Il risultato è più cremoso, meno compatto e beh... meno gelatinoso (ma va?) Il sapore si percepisce subito perché appunto il boccone inizia a dissolversi prima. Forse in una bavarese la differenza si noterà meno (ipotizzo) perché la panna qui contenuta è montata e dona già la sua buona dose di cremosità. Sperimenterò. Intanto ho azzardato una mia versione... diciamolo: "light" di panna cotta, con una grande percentuale di latte rispetto alla panna e l'adorata pasta di nocciole a cui ormai mi sto assuefacendo.

Panna cotta alla nocciola (con agar)
panna fresca 200g
latte intero 150g
zucchero 50g
pasta di nocciola pura 50g
agar-agar in polvere 1,5g (mezzo cucchiaino da the)
mezza bacca di vaniglia


Riscaldare su fuoco basso la panna mescolata al latte con la bacca di vaniglia aperta ed i suoi semini. Spegnere e lasciare in infusione 15-30 minuti. Riportare al fuoco aggiungendo lo zucchero e l'agar-agar, mescolare con una frusta. Portare il tutto a 85° per 1-2 minuti a fuoco bassissimo, sempre mescolando (non deve bollire ma appena appena fremere). Fuori dal fuoco aggiungere la pasta di nocciola e mescolare ancora. Eliminare la bacca di vaniglia e dopo qualche minuto versare in bicchierini da riporre in frigo per almeno 3-4 ore. Servire fresco decorando un po' come si preferisce (io ho fatto un croccante alle nocciole ma ci vedrei bene anche una tuile, una lingua di gatto, una salsina tiepida al cioccolato...)